Per un bambino, si sa, un pallone è il massimo dei divertimenti. Per un bambino di Trapani - e Sampitraro in particolar modo - poco importava alla fine degli anni 80' se si giocasse tra le auto parcheggiate o se si scavalcasse innocentemente mura o recinzioni di strutture pubbliche che dovevano essere aperte e invece erano maledettamente e inesorabilmente chiuse. Sempre.
E quand'erano aperte non erano fruibili dai bimbi del quartiere, ma soltanto dagli appartenenti all'"élite" della struttura stessa. Si obietterà che tutto ciò rientra nelle dinamiche sociali che insegnano il rispetto delle regole (una faccia della medaglia): se un cancello è chiuso non si scavalca, ma si aspetta la regolare apertura. Si potrebbe dire anche (l'altra faccia della medaglia) che scavalcare il muro era un modo per sfogare le proprie emozioni e raggiungere il divertimento in un contesto di abbandono sociale e scarso interesse da parte di quelle famigerate "agenzie educative" di cui si fa tanto parlare, oggi come allora e oggi come allora poco presenti a Trapani.
Scavalcare il muro era - non solo metaforicamente, ma anche fisicamente - il raggiungimento di un obiettivo: la partita di calcio. Per poterlo scavalcare, i ragazzi più grandi avevano inciso su di esso dei buchi, grandi abbastanza a contenere la punta delle scarpe di un ragazzino, al massimo di un quindicenne.
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I buchi nel muro che servivano ad arrampicarsi sopra al "Maresciallo" |
Come quella volta che Mauro litigò con Tore e lui piagnuccolante e di corsa scappò. Noi continuammo a giocare, ma appena dopo una mezz'oretta vedemmo tornare Tore spavaldo, accompagnato da uno stuolo di difensori tra cui emerse subito una donna, alta a spanne quanto noi ragazzini stessi.
Così disse a Mauro la mamma di Tore che per la verità aveva solo qualche anno in più di suo figlio, ma in effetti era alto già almeno un metro e settanta o forse più. Mauro era di poche parole e anche in quell'occasione non si smentì, ma a me rimase impressa la scena e oggi - da genitore - sorrido a ripensarla.
E poi mi chiedo ancora "ma a matri di Tore vulao o sblaccau???"
Come sia riuscita a saltare il muro era facile capirlo, ma non riesco a capire come poté allora evitare di essere vista dal bersagliere che piantonava lo spiazzo adiacente al plesso dove era situato quel campetto.
Forse i miei ricordi su questa vicenda sono sfocati. Tuttavia, mi ricordo gli incontri e gli scambi che i ragazzini del quartiere avevano con i militari (di leva) che presidiavano alcuni punti d'interesse come il Tribunale o gli accessi alle abitazioni di giudici più o meno importanti.
Per quel giorno non avremmo più calciato un pallone o forse sì, ma dall'altra parte del muro era stato divertimento puro... e sano.
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